Le neuroscienze, allo stato, hanno appurato che l’atto cognitivo (percezione cosciente) coinvolge una comunicazione a lunga distanza, con un massiccio scambio di segnali reciproci, anche se, ancora non si è compreso come esattamente milioni di scariche neuronali, distribuite attraverso il tempo e lo spazio, modifichino una rappresentazione cognitiva. Non vi è alcun dubbio sul fatto che, uno stimolo sensoriale diviene cognitivo allorchè riesce a far scattare una valanga autoamplificante di attività neurali che finisce per attivare varie regioni che risultano collegate fra loro (informazione/integrazione). Questo stato cognitivo ha inizio 300 millisecondi prima , ovvero, quando l’informazione aveva eccitato il recettore periferico e transitato nelle aree sensoriali della corteccia e successivamente,le regioni anteriori integravano a vari livelli l’informazione, secondo una modalità basso verso alto. Inoltre, le regioni anteriori inviano un gran numero di proiezioni verso il basso per modulare lo stimolo e garantire l’integrazione. Alla fine avremo una rete cerebrale di aree sincronizzate (neurostato) con il corrispondente psicostato (contenuto della cognizione). Questo processo richiede 1/3 di secondo. Dunque, non soltanto percepiamo consapevolmente solo una minima percentuale dei segnali sensoriali che ci bombardano, ma , quando lo facciamo, ciò avviene con un ritardo di almeno 300 millisecondi. Anche se non ci rendiamo conto, la nostra percezione consapevole ha un ritardo rispetto agli eventi oggettivi del mondo esterno, ma questo non ha importanza poichè è un ritardo” comune a tutti noi” e, dunque, relativo,ovvero più o meno adeguato.Quando, invece, eseguiamo un brano al piano o giochiamo a calcio e/o tennis il controllo cognitivo diventa una modalità troppo lenta.In tal caso contiamo non sulla cognizione bensì sul “pilota automatico”. E’, grazie ad esso che, un dito scottato si ritrae dal fuoco prima che noi ci rendiamo conto del dolore. In questo caso i nostri occhi e le nostre mani reagiscono nella modalità più adattiva poichè sono guidati da un’intera gamma di circuiti veloci sensori-motori che operano al di fuori della nostra consapevolezza. E’ questa iperfunzionalità dei circuiti sensori-motori che permette al bambino con autismo di essere più veloce nell’esecuzione di attività per lui ampiamente gratificanti.