Alla fine della nostra esistenza siamo deteriorati e moriamo. In effetti, la maggioranza di ciò che ci compone si deteriora nel corso della nostra vita, per questo viene sostituita da altre parti a loro volta deteriorabili. Durante la vita, numerosissime volte, si ripetono i cicli di morte e nascita, alcune nostre cellule sopravvivono pochi giorni, altre per un anno, altre rappresentano una vera eccezione (cellule nervose, cellule del cuore, cellule del cristallino). L’apprendimento rappresenta il processo, attraverso il quale, le cellule nervose, non sostituibili, vengono modificate. Pertanto, come i cicli di morte e vita ricostruiscono continuamente l’organismo e le sue parti, così il cervello, nel corso della vita “ricostruisce” se stesso, modificando il nostro “emozionarci” e di essere “cognitivi”. Dunque, non abbiamo un sistema emozionale, oppure un apparato cognitivo, scolpito e resistente nel tempo, bensì possediamo funzioni che rispecchiano lo stato dell’organismo, in relazione al tempo ed allo spazio che occupa il nostro corpo quando accadono certe cose. Inoltre, un approccio biocognitivo alla problematica che stiamo affrontando presume che ci appare sempre chiaro come la cognizione consiste nel processo di conoscenza in merito a due fatti: che l’organismo è coinvolto in una relazione con qualche oggetto e che l’oggetto coinvolto nella relazione causa un cambiamento nell’organismo. Applicare un modello biologico al processo cognitivo significa voler, con tutte le forze, comprendere come il cervello riesce a costruire circuiti neuronali che rappresentano le mappe di entrambi i fatti, oltre che della relazione esistente tra di loro. Un approccio biocognitivo rompe, sia con le speculazioni della psicologia cognitiva, sia con quei modelli teorici “neuronali”(modelli computazionali che ispirano le intelligenze artificiali) poichè, in entrambi i modelli l’organismo riceve scarsa o nessuna attenzione. Un approccio biocognitivo basato sull’evoluzionismo tratta la cognizione, come l’emozione, come processi che hanno avuto successo nell’evoluzione proprio per il loro modo fantastico di sostenere la vita. Ora, dobbiamo sempre tener presente che, l’istinto a sopravvivere non è prerogativa degli esseri umani, nè tanto meno qualcosa comparso di recente nel corso dell’evoluzione. Esso è comune a tutti gli organismi viventi, anche se varia il grado di consapevolezza (cognizione) di tale istinto. Gli esseri umani, di sicuro, ne hanno una piena consapevolezza e, questo, grazie allo sviluppo del loro cervello, nel corso dell’evoluzione. Allo stesso tempo, lo sviluppo del sistema nervoso non è sufficiente, infatti, la vita necessita di un confine e senza corpo non ci sarebbe confine. Inoltre, affinchè la vita possa continuare il milieu (ambiente) interno deve essere stabile. Con il termine omeostasi intendiamo tutte quelle reazioni fisiologiche coordinate che mantengono gli stati stazionari del corpo, caratteristici degli organismi viventi. L’omeostasi richiede’ da parte del cervello, la percezione (stato dell’equilibrio), la memoria implicita, l’abilità di eseguire un’azione, preventiva o correttiva. Gli organismi sono naturalmente provvisti di dispositivi atti a garantire l’invarianza. Per comprendere l’emozione e ,l’emotività del bambino con autismo, dobbiamo comprendere come, il milieu interno, i visceri e la struttura muscolo scheletrica producono, ininterrottamente, una rappresentazione dinamica, ma molto ristretta, in relazione ad un mondo intorno a noi che cambia in modo impressionante ed imprevedibile. Ovviamente, nel bambino con autismo, il cambiamento è ancora più imprevedibile e impressionante, a causa della sua disorganizzazione neurologica. Ma questo lo vedremo domani.