Le informazioni sensoriali che dall’ambiente, attraverso i recettori sensoriali prima e le vie nervose successivamente, raggiungono il S.N.C., oltre alle performance motorie compiute dall’animale in oggetto, consentono di acquisire le abilità (apprendimento). Nell’ultimo articolo pubblicato abbiamo visto come, grazie a tale processo, specificamente organizzato, l’uomo acquisisce le sue abilità (psicostati), tra cui la capacità di stabilire distanze, dimensioni degli oggetti, posizione di questi nello spazio, oltre che la relazione spaziale tra gli oggetti. Appare ovvio che, essendo la conoscenza dell’ambiente fondata sulla sensorialità, ogni specie appaia interessata ad aspetti specifici della realtà. Infatti, i sistemi nervosi delle differenti specie SELEZIONANO proprietà differenti degli oggetti, oltre che differenti relazioni intercorrenti tra di loro. Per tale motivo, noi umani, se dovessimo cercare lungo una strada con negozi una pizzeria, non mostreremmo alcuna attenzione al colore utilizzato per scrivere le insegne sui locali commerciali, mentre, inevitabilmente, ci sarebbe impossibile non leggere le insegne viste, anche se non inerenti alla nostra causa. Allo stesso tempo, se volessimo scavalcare un recinto non ci interesserebbe sapere quanto è alto con precisione, o di che colore sia stato tinto, bensì quale relazione possa esserci tra la sua altezza e la nostra.
Dunque, percepire lo spazio appare sempre più un’abilità secondaria alla capacità di integrare informazioni sensoriali e motorie, al fine di consentire all’organismo di manipolare l’ambiente.
In effetti, quello che con forza sta emergendo dalle neuroscienze attuali è che, l’integrazione sensoriale, oltre a fornirci (in maniera consapevole o meno) informazioni ambientali importanti per la sopravvivenza, ci fornisce anche la capacità che abbiamo di simulare l’informazione, ad esempio quella spaziale, fornendoci la capacità di generare immagini mentali.
Un organismo capace solamente di reagire direttamente alla stimolazione ambientale potrebbe risultare meno adattivo rispetto a chi, grazie alla maggiore complessità del suo sistema nervoso, può anticipare le conseguenze di un’azione. Pertanto, la pressione selettiva esercitata dall’ambiente, avrà favorito quelle specie, non solo più rapide nel catturare la preda, ma, soprattutto, capaci di memorizzare le esperienze (attività sensorimotoria) precedenti per utilizzarle nelle situazioni attuali. Sovente, la memoria delle passate esperienze diviene utile per inferire informazioni non disponibili nell’immediato e, dunque, per predire conseguenze delle azioni. Il cervello, attingendo dalle esperienze sensorimotorie pregresse, comincia a formulare ipotesi sullo stato attuale, divenendo un simulatore biologico. In assenza della corrispondente stimolazione sensoriale da parte dell’ambiente, il cervello, sotto la spinta della pressione selettiva operata dall’ambiente, specie quello interocettivo, può generare “immagini mentali” (psicostato), del tutto sovrapponibili a quelle che si verificano quando percepiamo un evento.
Quello che merita veramente grossa attenzione, anche, e soprattutto, per la comprensione della clinica dell’autismo, oltre che per i protocolli terapeutici da prescrivere, è che, le immagini mentali, non vengono più concepite come una forma di rappresentazione simbolica, statica e dettagliata della realtà esterna, ma come la RIATTIVAZIONE delle precedenti esperienze.
Grazie a tale nuova conoscenza oggi possiamo sostenere che, la COGNIZIONE E’ FONDATA SULL’ESPERIENZA SENSOMOTORIA, pertanto, NON POSSIAMO ” CURARE” IL DEFICIT COGNITIVO SENZA “CURARE” LA DISPERCEZIONE. Ma, siccome le immagini mentali sono epifenomeni (psicostato), in quanto l’immagine mentale viene generata ma non può, come immagine, autogenerarsi, quello che diventa di primaria importanza è tracciare il neurostato (quali circuiti neuronali generano l’immagine mentale). Ebbene, la misurazione dell’attività mentale tramite esami neurostrumentali e neurofunzionali, mostra che le aree cerebrali attive quando immaginiamo sono le stesse di quando percepiamo. La stessa osservazione ci dice che, qualora poniamo uno zaino pesante sulle spalle a dei soggetti, questi impiegano un tempo di cammino superiore quando immaginano di camminare, rispetto a quando immaginano di farlo senza il peso.
Dunque, le immagini mentali risultano essere della stessa natura (circuiti neuronali) delle percezioni da cui si originano. Siamo BIOCOGNITIVI in quanto, il nostro modo di essere cognitivi, si genera dalle modalità sensoriali e motorie con cui interagiamo con lo spazio che ci circonda.