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Pazienti con due “anime”

L’articolo che state per leggere nasce da un profondo stato di frustrazione professionale generatosi nel corso di una mia consulenza clinica, nel pomeriggio di ieri. Per la prima volta, accompagnata dai suoi genitori, è entrata nel mio ambulatorio medico una bellissima bambina di quattro anni e tre mesi, di nome Gaia. La mamma aveva manifestato qualche timida preoccupazione quando Gaia aveva diciotto mesi, poichè il suo aggancio visivo era labile. Purtroppo, intorno ai due anni, la piccola ancora non pronunciava nessuna parolina, motivo per il quale iniziò a consultare qualche specialista. A distanza di due anni, da queste prime consulenze, mi è stato chiesto un parere clinico. Premesso che Gaia ha ricevuto una diagnosi clinica priva di utilità scientifica (disturbo della comunicazione e della relazione), quello che maggiormente mi ha “frustrato” è stato il fatto che, tale diagnosi, veniva formulata solo sull’osservazione, in quanto, la piccola resta in lista d’attesa, senza aver, allo stato, eseguito test di laboratorio, E.E.G. e R.M.N.

Perchè, nel 2017, un soggetto, anche se di 4 anni, con un ritardo dello sviluppo del linguaggio e con una “difficoltà nello stabilire la relazione” non esegue esami neurostrumentali?

Eppure l’elettroencefalogramma fornisce importantissime informazioni sui sincronismi (integrazione) dei circuiti della corteccia cerebrale. Allo stesso tempo, la R.M.N. cranio-encefalo può essere di aiuto per capire, se non la natura del problema, almeno come inquadrarlo, ovvero a quale tipologia di patologie si deve fare riferimento per il caso in oggetto.

Di sicuro, la responsabilità di gran parte di questo “approccio anomalo” va attribuita ai neuroradiologi ed ai clinici. Infatti, quando iniziai (25 anni or sono) ad occuparmi di autismo, allorchè  bambini con disordine dello sviluppo neurologico presentavano alla R.M.N. un ritardo della mielinizzazione, oppure un’aspecifica dilatazione ventricolare, o un’agenesia del corpo calloso, tali referti venivano considerati del tutto casuali e privi di valore clinico, con conseguente delusione, sia da parte dei genitori per non aver trovato la causa del loro problema che da parte dei medici per NON AVER TROVATO IL MODULO NEURONALE O AREA CEREBRALE DELL’AUTISMO.

Sapere che quel bambino ha un corpo calloso di dimensioni ridotte non è un’informazione di poco conto. Tutt’altro! Significherebbe spostare tutto il campo di studio e, soprattutto, di ricerca da un infruttuoso “problema comunicativo” ad un problema clinico da “disconnessione”, ovvero passare dall’approccio psicologico all’analisi del connettoma per i disturbi comportamentali.

Pur avendo un cervello costituito da due emisferi, più o meno simmetrici, intorno ai tre anni, l’essere umano usa il pronome “io” quando parla in prima persona. Questo perchè, gli emisferi collaborano strettamente fondendosi in un insieme unico capace di produrre comportamenti e pensieri coerenti. Le commissure, la più importante è il corpo calloso, assicurano l’integrazione, facendo da ponte tra i due emisferi. Quando, per un trauma o per un intervento chirurgico (in passato si utilizzava per alcune forme di epilessia farmacoresistenti), vengono tagliate le centinaia di milioni di fibre nervose che formano il corpo calloso si verificano “strani segni clinici”.

Ad occhi chiusi, quando mettiamo nella mano destra del paziente oggetti di uso quotidiano, questi li nomina senza errori. Quando, invece, sempre ad occhi chiusi, gli mettiamo gli oggetti nella mano sinistra, pur manipolandoli correttamente, non riesce a denominarli in modo corretto.

La risposta si trova, come sempre, nell’anatomia del sistema nervoso.

Infatti, il linguaggio nel corso dello sviluppo si organizzerà in maniera asimmetrica (un solo emisfero). Inoltre, l’organizzazione del sistema nervoso è crociata (le sensazioni tattili raccolte dalla metà destra del nostro corpo arrivano all’emisfero sinistro, e viceversa), pertanto, arrivate al cervello le informazioni vengono condivise fra i due emisferi grazie al corpo calloso, non restando così imprigionate nell’emisfero cui sono state inviate dai sensi.

Dunque, quando l’oggetto si trova nella mano destra, l’informazione arriva all’emisfero sinistro che lo nomina. Quando l’oggetto si trova nella mano sinistra è l’emisfero destro a ricevere l’informazione ed a riconoscerlo, ma questo emisfero non può nominarlo. Una lesione del corpo calloso impedisce il trasferimento dell’informazione dall’emisfero destro al sinistro pertanto, non vi è possibilità di dare un nome all’oggetto, pur avendone CONSAPEVOLEZZA. Infatti, grazie a nuove osservazioni, si è visto che, il soggetto con lesione del corpo calloso non è in grado di nominare ciò che manipola con la mano sinistra (anomia tattile mano sinistra), ma è in grado di utilizzarlo, dunque ne ha consapevolezza.

E’ come se coabitassero, nella stessa testa, due entità intelligenti, di cui una sola sa parlare.

Per fortuna Kandel ci ha esortati ad interpretare ogni comportamento, anche il più bizzarro, in termini neurobiologici, altrimenti, qualche nostro accademico avrebbe pubblicato qualche osservazione sull’UOMO DALLE DUE ANIME, visto che il termine psiche in greco significava anima.

 

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