Quando nel 1992 incontrai Carl H. Delacato ebbi la fortuna di “incontrare un maestro”. Infatti, senza che io ne avessi la piena consapevolezza, nei sette anni successivi che collaborai con lui, costantemente mi indicò “come osservare” e non “cosa osservare”.
L’aspetto più affascinante è che, il dottor Delacato, raggiunse il suo scopo, non con l’uso di una moderna tecnologia ma, modificando il mio modo di “vedere”.
Dagli articoli precedenti pubblicati dal blog (la fabbrica del cognitivo) abbiamo compreso che, tutto quello che convenzionalmente abbiamo definito cognitivo (linguaggio, letto-scrittura, concetto di spazio-tempo, comprensione delle metafore, immaginare scene, prendere decisioni giuste svincolate dal qui ed ora, ecc.) risulta essere intimamente connesso con la nostra capacità percettiva che, a sua volta, emerge dall’integrazione di una sofisticata circuiteria neuronale, espressione dell’attività sensori-motoria dell’organismo.
Grazie alle moderne neuroscienze, tutti noi abbiamo potuto comprendere che la percezione è importante poichè è alla base di quello che decidiamo, conosciamo, pensiamo e, finanche, delle nostre immaginazioni e delle nostre credenze.
Inoltre, le moderne neuroscienze hanno sconfessato il modo di “vedere” dei cognitivisti, secondo i quali gli esseri umani sono capaci, nel pieno delle loro abilità o cognizione, di “vedere” il mondo, ovvero le cose con precisione, come realmente sono.
Ma il cervello (ovviamente anche il corpo) umano è stato plasmato dall’evoluzione (filogenesi), seguita poi dal neurosviluppo individuale (ontogenesi), non con la finalità di farci vedere la realtà delle cose (cognizione fine a se stessa), ma per farci sopravvivere. Dunque, non ci siamo evoluti per vedere la realtà, ci siamo evoluti per sopravvivere. In altri termini, non ci siamo evoluti per “vedere” una mela (ricordate la storia di Adamo ed Eva), ci siamo evoluti per mangiarla. VEDERE UNA MELA CON ACCURATEZZA NON E’ UN PREREQUISITO PER MANGIARLA. Anzi, potrebbe addiruttura essere un impedimento qualora scarseggiarsero le mele e gli altri sarebbero più veloci nel percepirla.
Il blog ha ripetutamente (articoli precedenti) ricordato che il nostro corpo (recettori sensoriali) è costantemente bombardato da informazioni provenienti dal mondo esterno che non rappresentano altro che energia o molecole. Così, i fotoni che entrano a contatto con le nostre retine, le vibrazioni dell’aria che entrano nelle nostre orecchie, la rottura di legami di molecole che creano frizioni sulla pelle, le sostanze chimiche che atterrano sulla lingua, come le molecole gassose che entrano nel naso, sono tutti elementi emanati dal mondo fisico, ma non il mondo fisico così com è. In effetti sarebbe inutile per la mia sopravvivenza avere un accesso diretto alla “mela” perchè perderebbe ogni significato mentre, con il mio modo di percepire, la mela diventa utile per la mia sopravvivenza.
Con la crescita (neurosviluppo) il cervello fa sì che, ad una certa luce un colore significa che la mela è matura, quel particolare odore che non si tratta di un altro alimento, quel contatto che l’ho afferrata.
Chiunque voglia occuparsi delle patologie del neurosviluppo deve necessariamente basarsi su assunti fondati sulle più recenti scoperte delle neuroscienze e non su vecchi preconcetti e su un errato concetto di “cognizione”
Solamente accettando le nuove conoscenze possiamo aprirci ad un nuovo modo di percepire noi stessi oltre che i soggetti autistici.