Immaginate una strada molto buia. In lontananza c’è un lampione che illumina un piccolo tratto di marciapiede (tutti gli altri sono fuori uso). Nel cerchio di luce c’è qualcuno a carponi. Vi avvicinate e domandate a quella persona cosa stia facendo. “STO CERCANDO LE CHIAVI”, risponde. Naturalmente desiderate dare una mano, dato che il tizio sembra disperato. E’ tardi e fa freddo, e certamente quattro occhi vedono meglio di due. Quindi per rendere più efficiente la ricerca, domandate : dove sono cadute le chiavi? MI SONO CADUTE LAGGIU’, ed il tizio indica un punto lontano un centinaio di metri. Ma allora perchè le sta cercando qui? “PERCHE’ QUESTO E’ L’UNICO POSTO DOVE RIESCO A VEDERE”
Il dottor Carl H. Delacato, quando negli anni sessanta del secolo scorso si interessò ai bambini con severe problematiche del comportamento e della motricità, oltre che ai bambini iperattivi e dislessicci, era un uomo di mezza età che aveva, come si usa dire, l’intuizione nel sangue. Era un dirigente scolastico con la passione di osservare attentamente quelli “con manifeste difficoltà”. Dalla collaborazione con Temple Fay (neurochirurgo) e con i fratelli Doman (fisiatra e fisioterapista) potè apprendere le problematiche cliniche dei bambini cerebrolesi, ed in particolare dei bambini autistici. Per gli accademici dell’epoca, gli autistici erano bambini psicotici, la chiusura relazionale era secondaria ad una anaffettività materna.
Delacato non la pensava affatto così, si oppose violentemente a tale interpretazione dinamica universalmente accettata. Per lui, sporcarsi con le proprie feci era consequenziale all’ipo-olfatto, per tutti i professionisti era un attaccamento a madre terra; tapparsi le orecchie era conseguenza dell’iper-udito, per gli accademici era conseguenza del rifiuto.
Tutto questo lo condusse al punto di essere deriso e trattato da “stregone”.
Nonostante numerosissime famiglie di bambini autistici manifestarono una profonda fiducia nelle intuizioni del dottor Delacato (al punto tale da affrontare lunghi viaggi per incontrarlo e per trascorrere ore intere, delle future giornate, a sperimentare le sue intuizioni sui propri figli), le accademie e le istituzioni sanitarie non mostrarono alcuna curiosità verso quell’uomo, nè verso ciò che aveva pubblicato. Anzi, definirono i viaggi dei genitori: VIAGGI DELLA SPERANZA, al fine di sottrarre a quelle consulenze anche un briciolo di scientificità.
Delacato non solo si sentiva gratificato dalla stima e dalla fiducia dei genitori ma, soprattutto grazie a tale fiducia, otteneva anche la possibbilità di sperimentare con successo le sue intuizioni “IL BAMBINO AUTISTICO NON E’ UN BAMBINO PSICOTICO MA UN BAMBINO CON PROBLEMATICHE COMPORTAMENTALI SECONDARIE A DISFUNZIONI SENSORIALI”.
Dalla metà degli anni settanta fino al 1999, anno in cui il dottor Delacato per motivi di salute smise di incontrare famiglie di bambini autistici, lo psicopedagogista statunitense incontrò decine di migliaia di famiglie, di ogni continente. Era sua abitudine andare incontro a molte di queste famiglie con lunghi viaggi.
Tantissimi di quei bambini, grazie alle intuizioni di Delacato ed al coraggio dei loro genitori, vennero sottratti agli istituti (in quel ventennio, già dalla giovane età, la maggioranza dei soggetti autistici venivano ricoverati in istituti psico-pedagogici per tutta la loro vita).
Nel maggio 2013 il DSM5, ovvero il manuale diagnostico e statistico delle malattie mentali (viene redatto dagli accademici), invita i medici di tutto il pianeta, quando si deve porre diagnosi di disturbo dello spettro autistico, a prestare attenzione a IPER O IPO REATTIVITA’ AGLI STIMOLI SENSORIALI O INTERESSI INSOLITI VERSO ASPETTI SENSORIALI DELL’AMBIENTE; APPARENTE INDIFFERENZA AL CALDO/FREDDO/DOLORE, RISPOSTA AVVERSA A SUONI O CONSISTENZE SPECIFICHE, ECCESSIVO ANNUSARE E TOCCARE GLI OGGETTI, ATTRAZIONE PER LUCI O OGGETTI ROTEANTI.
Questa conquista era dovuta alle testimonianze di tanti soggetti con autismo, molti dei quali avevano curato le proprie disfunzioni con terapie sensoriali.
Purtroppo, Delacato non poteva gustarsi questa vittoria ottenuta grazie ai frutti del suo intenso lavoro.
A dieci anni dalla morte di Carl H. Delacato, attraverso il blog, voglio dare testimonianza che, le idee del mio maestro (il bambino autistico manifesta disfunzioni sensoriali), del tutto inaccettate all’epoca da parte dei professionisti, erano codificate nella fisiologia del suo cervello e rappresentavano la sua storia unica ed esclusiva, che consentiva ai suoi neuroni di generare una “possibile successiva percezione” che gli accademici dell’epoca, privi di quelle stesse connessioni neuronali, non avrebbero potuto generare.
Sto sottolineando l’importanza, non del vissuto del dottor Delacato, ma semplicemente del fatto che, per via di quel vissuto, ciò che per lui fu possibbile PERCEPIRE per altri non lo era.
Potremmo dire che gli altri erano ciechi rispetto a ciò che lui vedeva.
Nessuno deve mai dimenticare che i comportamenti, come le intuizioni e la testardaggine, vengono fuori dai circuiti neuronali, plasmati dalle passate esperienze.