In tanti articoli precedenti abbiamo visto come, i ricercatori in neuroscienze, hanno demolito qualsiasi modello organizzativo, delle nostre cortecce cerebrali, di tipo modulare e, dunque, qualsiasi protocollo terapeutico di tipo cognitivista, per la cura delle patologie del neurosviluppo.
In altri termini potremmo dire che, è il concetto stesso di “cognizione umana” ad aver subito una radicale modifica negli ultimi decenni. Infatti, si è presa “conoscenza”che, la realtà esterna possiede una sua oggettività che gli uomini non possono “conoscere”.
Il nostro cervello non si è evoluto per “conoscere” il mondo esterno così come è in realtà (ciò che pensano i cognitivisti), ma per garantirci la sopravvivenza. Il conoscere la realtà con accuratezza non avrebbe rappresentato un prerequisito per aiutarci a sopravvivere alla costante marea di stimoli sensoriali mescolati tra loro, impossibili da elaborare come elementi di informazione distinti. Anzi, ne avrebbe rappresentato un impedimento.
Pertanto, dal passato lontano che ci vide cacciatori-raccoglitori nelle savane fino alla vita dei nostri giorni (alle prese con videogiochi e debiti da pagare) il modo di PERCEPIRE del nostro cervello è risultato molto utile alla nostra specie.
Il modello percettivo o biocognitivista si basa su tre fattori: EVOLUZIONE, NEUROSVILUPPO, APPRENDIMENTO.
Il cervello umano è stato plasmato dal più rigoroso programma di ricerca, di sviluppo e di verifica del prodotto, che abbia mai avuto luogo sul pianeta, durato più di quattro miliardi di anni: l’EVOLUZIONE.
In effetti, tutte le specie viventi sono state plasmate dalla selezione naturale verificatasi nel corso dell’evoluzione, le stesse differenze esistenti tra gli uomini e gli altri animali sono consequenziali alla differente azione della forza evolutiva ai fini della sopravvivenza.
Per un neurobiologo evolutivo, il nostro cervello è l’incarnazione fisica degli automatismi percettivi dei nostri antenati, così come la SELEZIONE NATURALE li ha plasmati, combinati ai nostri stessi automatismi (NEUROSVILUPPO) ed a quelli dell’educazione in cui ci immergono (APPRENDIMENTO).
Il ruolo dell’evoluzione è stato quello di selezionare una determinata macrostruttura (circa cento miliardi di cellule a comporla, una parte antica, regolante i riflessi, già organizzata alla nascita, stazioni modulari sottocorticali e nella periferia delle cortecce gia prefissate, ecc.) in quanto più utile di altre.
L’interazione bambino con il proprio ambiente durante l’età dello sviluppo condizionerà le competenze percettive e, dunque, il comportamento (neurosviluppo).
Lo studio del neurosviluppo iniziò più di cinquant’anni fa grazie a Wiesel ed Hubel, che nel 1981 ricevettero il premio Nobel di fisiologia e medicina per i loro lavori in questo campo. Grazie alle loro scoperte, non solo abbiamo potuto comprendere il ruolo fondamentale dello stimolo sensoriale nel processo di apprendimento ma, soprattutto, cosa accade nel cervello durante l’infanzia.
Nei primi sei-otto anni di vita, in relazione agli stimoli sensoriali, emergono connessioni tra neuroni. Siccome tali connessioni, sempre regolate dall’interazione degli stimoli sensoriali con il cervello in via di sviluppo, sono facilitate in determinate fasi della crescita, le neuroscienze hanno chiamato tale processo “periodi critici”.
Quello che di recente è emerso, è che questi periodi critici possono essere riattivati per riparare errori sopraggiunti nell’attivazione del connettoma e delle sue funzioni.
Infatti, la plasticità cerebrale persiste tutta la vita e non c’è età per apprendere (basta pensare in quale epoca della nostra vita abbiamo imparato ad utilizzare una nuova applicazione sul nostro smartphone, e questo ha richiesto una riorganizzazione delle sinapsi).
Di fronte al quadro clinico di un disturbo dello spettro autistico, le nostre accademie tradizionali (università) continuano ad insegnare che la misurazione è essenziale.
Come se i dati fossero la comprensione del problema.
Pertanto, agli studenti non viene insegnato ad essere in grado di comprendere, poichè non viene insegnato loro come porre le domande ai genitori di questi bambini, meno che mai quale sia una buona domanda da porre.
Dunque, resta difficile comprendere i perchè.
Eppure, dimentichiamo che, ci siamo evoluti per percepire allo scopo di sopravvivere, cosa che presuppone delle AZIONI da parte nostra, la necessità di “fare” qualcosa. La percezione non è mai fine a se stessa, sotto la spinta della selezione naturale, ovvero nel corso della evoluzione, il nostro cervello ha sviluppato “la percezione che abbiamo” per far si che dessimo le “risposte motorie” che diamo.
La PERCEZIONE, per le neuroscienze attuali, è alla base di tutto quello che conosciamo (modello biocognitivista), ovvero che facciamo.