Nell’articolo del 16 novembre scorso il blog si è soffermato sul microbiota, ovvero su quell’immensa popolazione di microrganismi simbiotici che convivono con l’organismo umano senza danneggiarlo, il cui insieme, negli ultimi anni, è stato paragonato ad un vero organo supplementare, implicato soprattutto nei meccanismi immunitari.
Secondo il parere di numerosi ricercatori, il vertiginoso aumento di alcune condizioni morbose (allergie, malattie autoimmunitarie), nei paesi più industrializzati, troverebbe la spiegazione più ovvia in una alterazione del microbiota.
Inoltre, vari studi tenterebbero a confermare un ruolo cruciale del microbiota e di una sua alterazione in una serie di disturbi cerebrali quali la depressione, il disturbo bipolare, la schizofrenia, il morbo di Alzheimer ed i quadri clinici di disordine dello sviluppo neurologico in età evolutiva (autismo).
Le pubblicazioni scientifiche ove viene dimostrata un’associazione tra le diete di stile occidentale (ricche di zuccheri, grassi e cibi trattati, ad alto contenuto di sale ma povere di olio d’oliva, pesce ricco di omega3, frutta, verdura, legumi, noci e cereali integrali) e gli stati ansioso-depressivi, oltre che l’atrofia dell’ippocampo sinistro, sono di numero sempre più significativo. Inoltre, altre ricerche rivelano come le diete ricche di zuccheri possono provocare, attraverso modifiche del microbiota, stati infiammatori incontrollabili capaci, sia di innescare una catena di effetti metabolici che alterano le funzioni cerebrali che, di alterare le cellule della microglia.
In tale ottica assume notevole interessante chiedersi come agisce il microbiota e come riequilibrarlo per controllare le infiammazioni.
Per comprendere come agisce il microbiota alcuni ricercatori hanno utilizzato animali germ free (topi privi di germi).
Trapiantando nel loro intestino la flora microbica, prelevata da topi nei quali era stato indotto sperimentalmente uno stato di ansia, i germ free diventavano ansiosi, poichè venivano modificati “meccanismi di trascrizione”.
Dalla biologia genetica abbiamo appreso che, l’azione dei geni può essere potenziata o repressa dai meccanismi di trascrizione. Sappiamo che il silenziamento di uno o più geni dipende dalla presenza di piccolissime molecole di RNA (microRNA) capaci di reprimere la traduzione del DNA. Nel caso dei topi in cui era stata trapiantata nell’intestino la flora batterica proveniente da topi ansiosi, si è visto che il microbiota “donato”alterava l’espressione dei microRNA in alcune popolazioni di neuroni (specie dell’amigdala), causando l’ansia. E’ questo un tipico esempio sia del ruolo dell’epigenetica che, di come lo psicostato (ansia) necessita del neurostato (alterata trascrizione nelle cellule nervose).
Per la biologia contemporanea il microbiota agisce da “trasduttore” di una particolare pressione ambientale, per esempiuo l’inquinamento, le intolleranze alimentari, modificando l’espressione dei geni contenuti nel DNA, silenziandoli o facilitando la sintesi delle proteine (struttura e, dunque, funzione).
Nel 2015 un gruppo dell’Università di Pittsburg condusse uno studio in cui venti afroamericani scambiarono le proprie abitudi ni alimentari con venti contadini sudafricani di colore. Al posto della dieta a basso contenuto di grassi animali e carboidrati e ad alto contenuto di fibre, gli africani consumarono hamburger e carboidrati. Gli statunitensi, dal loro canto, sostituirono grassi e carboidrati con legumi, pesce e verdure. Dopo una decina di giorni gli intestini degli statunitensi erano meno infiammati. I loro campioni fecali mostrarono un’ impennata delle specie batteriche produttrici di butirrato (batteri buoni). I cambiamenti microbici dei sudafricani furono esattamente all’opposto.
I cambiamenti della dieta rappresentano la più facile modalità per modificare il microbiota e, dunque, per aiutare a controllare le infiammazioni.
La nostra storia evolutiva ci racconta che, circa 150.000 anni fa, gli esseri umani sono stati sul punto di estinguersi (per la fase di raffreddamento globale che lasciò la terra ghiacciata per circa settantamila anni). La popolazione dei nostri antenati ominidi si ridusse a poche centinaia di individui (discendiamo tutti da quel gruppo di sopravvissuti) che cercarono rifugio alimentare nei banchi di molluschi delle zone costiere meridionali del continente africano (è gratificante per un tifoso del Napoli sentirsi chiamare africano negli stadi di calcio nazionali), diventando dipendenti da una dieta ricca di omega3. Questi grassi possono aver guidato l’evoluzione del nostro cervello composto al 60% di grassi, di cui il DHA rappresenta il nutriente più strettamente associato alla salute cerebrale. Numerosi studi, allo stato, hanno confermato l’importanza del DHA per lo sviluppo ed il funzionamento del cervello umano (componente delle membrane cellulari, facilita la comunicazione tra cellule nervose, aumenta i fattori neurotrofici, favorisce la crescita e lo sviluppo del Sistema Nervoso). Il DHA di origine marina è stato cruciale per l’evoluzione cerebrale degli esseri umani. Secondo molti studiosi, il tasso crescente di “disturbi mentali” sarebbe imputabile alle modifiche alimentari avvenute dopo la seconda guerra mondiale.
Non vi sono più dubbi che, la presenza di una flora intestinale appropriata nel corso dello sviluppo postnatale, possa fare in modo che i microRNA svolgano un’azione positiva sulla produzione dei fattori neurotrofici.
Allo stesso tempo, la sregolazione della flora intestinale (uso di antibiotici, svezzamento in epoca precoce, diete non coerenti con il nostro sviluppo evolutivo, ecc.) può provocare alterazioni della funzione cerebrale.
La biologia ci ha permesso di conoscere che il microbiota rende un contributo cruciale alla FORMAZIONE ed al FUNZIONAMENTO del nostro apparato digerente e del sistema immunitario.
Inoltre, gli studi recenti hanno confermato che alterarlo, con abitudini alimentari malsane o con condizioni patologiche trascurate, ha un costo altissimo anche per il cervello.