Negli ultimi anni ho incontrato tanti giovani tecnici (psicomotricisti, logopedisti, educatori, psicologi, osteopati) che mi hanno manifestato il desiderio di ricevere più informazioni sull’ “autismo in età evolutiva”, per poter lavorare meglio con i loro giovani pazienti.
A tutti questi validi e simpatici professionisti ho dato un solo consiglio: “studia bene come è fatto e come funziona il più complicato oggetto mai costruito, il cervello”.
Infatti, l’autismo è sempre l’espressione di un’encefalopatia, ed il ritardo della scienza nella comprensione dell’autismo non può non spiegarsi che nel ritardo con cui abbiamo iniziato a conoscere la struttura ed il funzionamento del cervello.
Senza dimenticare che, nel corso della nostra storia, si sono dedicati allo studio del comportamento (espressione del funzionamento cerebrale) i filosofi ed i teologi (solo nell’ultimo secolo gli psicologi), che decretarono la priorità della coscienza o anima quale “sostanza” che permetteva di pensare e di “esistere”, generando un inutile dualismo ed un ritardo nella comprensione.
Attualmente, grazie alle neuroscienze, conosciamo molte cose sulla struttura macroscopica del cervello umano (anatomia), sul suo funzionamento (fisiologia, specie quella della vita di relazione), ed aumentano progressivamente le nostre conoscenze sulla biologia molecolare (neurotrasmettitori, sottotipi di recettori, meccanismi biologici che regolano la funzione delle cellule nervose e delle cellule gliali).
Ad esempio, grazie alle nostre migliori conoscenze biomolecolari, da qualche mese possiamo trovare nelle nostre farmacie un farmaco che, agendo da agonista parziale dei recettori dopaminergici di tipo D3, senza generare i classici effetti extrapiramidali, cerca di ridurre non solo i “sintomi positivi” di alcune psicosi ma, soprattutto, quelli “negativi”.
Pertanto, non deve destare eccessivo stupore il fatto che, in un futuro immediato, le neuroscienze hanno fissato l’obiettivo di migliorare le nostre conoscenze sia sui meccanismi biomolecolari che sulle relazioni S.N.A. e S.N.C., ovvero corpo/cervello o neuroimmunologia.
Per molti studiosi, le neuroscienze presero vita dal titolare della cattedra di Anatomia all’Università di Bologna, Luigi Galvani, che, con i suoi studi, fece tramontare tutte le precedenti teorie sugli “spiriti animali”. Galvani ( 1791), infatti, dimostrò l’esistenza di un’elettricità animale che avrebbe occupato il posto abbandonato dal fluido misterioso presente nell’antica medicina, specie dopo il 1929, anno in cui il dottor Berger registrò, per la prima volta, l’attività bioelettrica cerebrale grazie a degli elettrodi posti sul cuoio capelluto (elettroencefalogramma).
Da quel momento, il primo obiettivo delle neuroscienze fu quello di rispondere ad una precisa domanda: se tutti i nervi trasportano un segnale identico (corrente elettrica), come spieghiamo che il nervo uditivo trasporta suoni, l’olfattivo odori, il gustativo sapori e l’ottico immagini?
Il cervello sembrava possedere una competenza (cognizione) nell’interpretare i messaggi ricevuti sulla base della loro provenienza. La tentazione di credere in una “localizzazione” delle funzioni cerebrali fu molto forte.
Allo stesso tempo, si conosceva che i neuroni interagiscono tra loro mediante “giunzioni” chiamate sinapsi (sede delle memorie).
Inoltre, si conobbe che grazie alle cellule nervose, alle cellule della glia, ed alle sinapsi, si formano reti o circuiti neuronali.
Le reti neuronali comunicano tra loro ed alimentano vie neuronali attraverso le quali vengono inibite o eccitate altre reti o circuiti neuronali.
Queste nuove conoscenze facevano accantonare le teorie localizzazioniste a favore di nuove teorie olistiche (teoria dei campi associati).
Con il progredire della tecnologia e, dunque, dei mezzi di indagine scientifica, intorno agli anni ottanta del secolo scorso, abbiamo potuto conoscere che la cellula capostipite dei neuroni compare intorno alla terza settimana di gestazione.
Da tale cellula, attraverso un processo di DIFFERENZIAZIONE (cellule neuroepiteliali, neuroblasto, neurone) e di intensissima MOLTIPLICAZIONE CELLULARE, origineranno, intorno al quinto mese di gravidanza, cento miliardi di cellule nervose.
Queste cellule, a mano a mano che si moltiplicano, per mezzo della MIGRAZIONE NEURONALE, raggiungeranno (prima della nascita) la loro sede definitiva all’interno del cervello, facendo assumere la specifica forma al nostro cervello (da placca neuronale a tubo, fino ai rigonfiamenti craniali sul tubo neuronale).
Alla nascita i nostri cervelli sono formati da cento miliardi di neuroni, posizionati nelle loro sedi, in attesa di apprendere quale conformazione devono assumere le reti o circuiti neuronali.
Intorno agli anni ottanta del secolo scorso il cervello cessava di essere una scatola nera inaccessibile alle conoscenze umane (il cervello umano studiato da sè stesso).
Era il tramonto del comportamentismo e l’inizio della fine del cognitivismo.
Gli studi di Hubel e Wiesel (premio nobel), effettuati sul sistema visivo dei gatti, dimostrarono che lo stimolo sensoriale SELEZIONA il circuito neuronale.
Il premio nobel Edelman, negli ultimi anni dello scorso millennio, poteva così enunciare la sua teoria sul Darwinismo Neuronale (l’esperienza sensori-motoria pota i circuiti neuronali).
La biologia evolutiva spodestava il cognitivismo e si proponeva come faro per le future conquiste scientifiche.
Anche le abilità neuronali specificamente umane, quali ad esempio il linguaggio, non potevano essere comprese se non in termini di biologia evolutiva. Proprio le nuove conoscenze sulla genesi del linguaggio verbale rappresentavano un importante elemento di rottura con il passato.
Infatti, a proposito di linguaggio, a differenza dei cognitivisti, i neuroscienziati attuali considerano il parlare simile all’azione di scagliare una lancia, ovvero di azioni che hanno uno schema comune, quello di basarsi su un prima, su un dopo, e su conseguenze.
D’altronde, il mondo di un cucciolo d’uomo è fatto di movimenti ed azioni, attraverso le quali apprenderà i principi di sequenzialità e di causalità. Gli stessi principi saranno rafforzati da suoni e parole (attraverso il pianto, il riso, le parole, ricevo attenzione, affetto, cibo).
La biologia evolutiva, facendoci conoscere che esiste uno stretto intreccio tra motricità e pensiero, sia dal punto di vista filogenetico che ontogenetico, ci ha reso meno misterioso il nostro cervello.
Allo stesso tempo, le storie cliniche di tanti pazienti neurologici hanno contribuito a svelarci i segreti del cervello.
A questo argomento darò spazio nei prossimi articoli.