Una persona autistica, per definizione, è una persona con una problematica relazionale.
In questo momento di “emergenza”, causa emergenza COVID-19, ove il nostro modo di relazionarci necessariamente deve subire qualche modifica, il blog “autismo fuori dagli schemi” vuole quotidianamente pubblicare una pagina sulla relazione umana e sul neurosviluppo della relazione umana, facendo riferimento, come sempre, alla biologia evolutiva.
ONTOGENESI UMANA
Nella linea evolutiva umana, come risposta ad adattive sfide specifiche, compare la cultura.
Oggi, l’idea tradizionale di cultura come qualcosa di avulso dalla biologia e dall’evoluzione non ha alcuna utilità e, pertanto, motivo di esistere.
Far riferimento all’evoluzione significa aver ben chiaro il concetto che, la selezione naturale non crea nulla ma, come un setaccio, separa, a cose fatte, gli organismi vitali dai non vitali.
Pertanto, le novità evolutive non scaturiscono dalla selezione naturale bensì dalle mutazioni e dalla ricombinazione genetica (variazioni ereditarie).
Queste variazioni ereditarie producono, tramite processi di sviluppo o ontogenetici, nuovi fenotipi o, anche, psicostati.
Dobbiamo prendere atto di una grave mancanza, storicamente non abbiamo riconosciuto appieno l’importanza del ruolo dei processi di sviluppo (ontogenetici), impegnati in un acceso dibattito tra le ipotesi innate e quelle della tabula rasa.
E’ questo il motivo per il quale dobbiamo incoraggiare gli studi in ambito della biologia evolutiva dello sviluppo.
Quest’ approccio potrebbe darci l’opportunità di comprendere come cambiamenti anche modesti nel modo in cui i geni regolatori dirigono i tempi e la proprietà plastica dello sviluppo dell’intero organismo, e non di un solo organo, possono avere enormi effetti fenotipici a cascata, non codificati in alcun modo nei geni.
Allo stesso tempo, la biologia evolutiva dello sviluppo ci indica che, se vogliamo comprendere la genesi delle nostre abilità “mentali” dobbiamo focalizzare la nostra attenzione sull’ontogenesi, e su come lo sviluppo delle grandi scimmie, in generale, si è trasformato nel neurosviluppo umano, in particolare.
Circa sei milioni di anni fa, sul pianeta terra è vissuto l’ultimo antenato comune (LCA) dell’uomo con le grandi scimmie.
Questo LCA era molto più simile agli attuali scimpanzè o bonobi che non a noi, umani attuali.
Come la maggioranza dei primati, l’LCA aveva “relazioni sociali” di varia durata con membri scelti del gruppo. Presumibilmente, manifestava un’attrazione per i parenti e per chi lo sosteneva nelle interazioni competitive e, quindi, cooperava con loro in vario modo.
La cooperazione era fondata esclusivamente sulla competizione, pertanto, la loro socialità conservava una patina di individualismo. Possiamo dire che erano (lo sono ancora gli scimpanzè ed i bonobi) molto sociali, ma solo in senso strumentale (durante la caccia non potevano fare mente locale con gli altri per formare l’obiettivo condiviso di collaborare, nè condividevano le risorse equamente tra le parti interessate).
Due milioni di anni fa compare un genere con un cervello più grande e con una differente manualità e, dunque, nuove abilità nel fabbricare utensili in pietra: il genere Homo.
Con esso compare un nuovo “psicostato” o processo psicologico: due individui hanno lo stesso obiettivo, strutturato da un’attenzione congiunta, ciascuno dei quali ha, nello stesso tempo, il proprio ruolo e la propria prospettiva.
Mi piace fare, a questo punto, una riflessione.
Per le moderne neuroscienze, il segreto che sta alla base della coscienza umana è la capacità del cervello umano di associare la specializzazione con l’integrazione (comprendiamo che tecnicamente è un paradosso e, pertanto, non riproducibile; con buona pace, al momento per chi si occupa di I.A.). Allo stesso tempo, per la biologia evolutiva il segreto che sta alla base della nostra socialità è la capacità di condividere e di restare individui simultaneamente.
Due, e poi tanti, individui conservando il proprio ruolo e la propria prospettiva (conoscenza o credenza), contemporaneamente, si relazionano diadicamente, in seconda persona, creando tra loro esperienze condivise, ovvero il terreno comune su cui costruire i propri sforzi collaborativi.