“Fuori dagli schemi convenzionali”
In queste due settimane trascorse “insieme” ho provato a trattare il problema della relazione o del sociale nel bambino con disturbo dello spettro autistico.
L’ho trattato da una prospettiva “fuori dagli schemi”.
Infatti, non mi sono occupato di come misurare il “deficit relazionale” in quel bambino/paziente.
Non ho attribuito quel “deficit relazionale” al fatto che il bambino in questione fosse autistico, per cui doveva per forza manifestarlo.
Non ho considerato quel “deficit relazionale” l’espressione di un deficit della capacità del bambino di leggere le intenzioni dell’altro. Questo perchè, essendo un neurofisiopatologo, se pur avessi accettato l’idea della incapacità di leggere la mente altrui, avrei dovuto spiegare, a me ed a voi (NOI), questa incapacità in termini biologici, e la teoria del modulo innato è defunta.
Non ho accettato l’idea che l’informazione genetica potesse, da sola, determinare il nostro modo di essere “sociali”.
Non ho mai condiviso che si potesse fare molta strada nella comprensione di questo complesso quadro clinico qualora dovessimo continuare ad affidare la cura di questi bambini a specialisti che non hanno una esperienza clinica con altre patologie del cervello, sia dell’ età evolutiva (vedi ad esempio tetraparesi spastica da encefalopatie perinatale) che dell’ età adulta (dalla schizofrenia alla sclerosi multipla per esempio).
Non ho mai pensato (dalla prospettiva delle neuroscienze) che non ci fosse nulla da fare.
Infatti, per prima cosa mi sono messo a studiare.
Grazie a questi studi propongo un modello biologico fondato sui principi dell’evoluzione (biologia evolutiva) che fa riferimento ai principi della nascente psicologia dello sviluppo, quale fonte per le osservazioni.
Coerente con queste indicazioni ho proposto, come primo passo, di comprendere cosa, nel lungo corso della filogenesi e poi dello sviluppo ontogenetico, abbia consentito all’essere umano di acquisire le sue abilità relazionali, sociali e, perchè no, cognitive.
Pertanto, abbiamo visto insieme, in queste due settimane ove la pandemia da Covid-19 ci ha indotti a modificare le convenzioni con le quali esprimiamo il nostro modo di essere sociali, che queste convenzioni le abbiamo progressivamente apprese in un lunghissimo periodo di tempo (forse 6 milioni di anni).
Non avremmo potuto apprenderle se non ci fossimo selezionati come primati (posizione bipede, con conseguente cambiamento della funzione degli arti superiori e delle mani dalla locomozione all’atto dell’ afferrare; necessità di coordinare la vista con la mano per selezionare il gesto di prensione; necessità di accudire il cucciolo per un periodo più lungo e, dunque, di intraprendere una “vita cooperativa”, ecc.).
Ovviamente, non avremmo potuto apprenderle senza una selezione (evoluzione) di parametri strutturali sia somatici che neuronali.
E’ su questi ultimi che dobbiamo concentrarci per saperne di più, senza arrenderci di fronte al fatto che non c’è nulla di più complesso che lo studio del cervello umano (il cervello che studia il cervello non è introspezione poichè le intuizioni, che servono nel nostro caso, devono necessariamente essere oggettivate).
Sappiamo da tempo che il nostro cervello è composto da cento miliardi di neuroni che si sono moltiplicati da una cellula capostipite comparsa intorno alla quarta settimana di gestazione. Questo intenso periodo di moltiplicazione neuronale dura all’incirca cinque mesi, durante i quali, oltre a generarsi, i neuroni maturano (subiscono modifiche strutturali e funzionali passando da neuroblasti a cellule nervose, e migrano all’interno del S.N.).
Sappiamo che veniamo al mondo estremamente immaturi ma non senza una identità (negazione della teoria della tabula rasa).
Conosciamo il volto umano, la voce umana, i sapori del cibo mangiato da nostra madre durante la nostra gravidanza, ed anche il ritmo (sta alla base del concetto di tempo, della matematica e di altre importantissime nostre abilità o psicostati) dettato dal battito cardiaco della persona che ci ha portato in grembo. Anche il dolore fisico, benchè apparentemente lo nascondiamo, possiamo conoscerlo prima di venire al mondo.
Allo stesso tempo, dobbiamo sottoporci all’esperienza della vita per selezionare i circuiti neuronali più adattivi all’ambiente entro il quale ci svilupperemo (neurosviluppo o ontogenesi ed apprendimento).
Lo possiamo fare perchè le cellule nervose sono plastiche (modifica della funzione e della forma su sollecitazioni esterne) e, pertanto, anche i circuiti neuronali sono plastici. E’ questa proprietà biologica del sistema che permetterà l’apprendimento. Questo significa che possiamo “trascrivere”, sotto forma di attività nervosa, nel nostro cervello la nostra storia trasdotta dai nostri recettori sensoriali (i recettori sensoriali trasducono fotoni, vibrazioni, messaggi chimici, contatti in energia nervosa che modellerà il nostro cervello consentendoci di conoscere in virtù delle informazioni ricevute).
Ho, volutamente, omesso un’informazione importantissima per il nostro scopo.
Prima ancora di conoscere il volto umano, la voce umana, i sapori familiari, il ritmo del cuore di mia madre, i suoi respiri (per la contrazione del suo diaframma che modificava la sua pressione addominale e, dunque, il MIO SPAZIO) , prima ancora di qualunque cosa potessi iniziare a conoscere, ed a relazionarmi, il MIO cervello ha iniziato a conoscere il vero capo: il CORPO a cui apparteneva.
Non ho la minima conoscenza che possa esistere un sociale in assenza di corpi, così come sostengo che non può esistere relazione senza corpo.
Con poco cervello talvolta si!
E’ questa interazione corpo/cervello la madre di tutte le nostre relazioni.
E’ così difficile da comprendere?
Domani proverò a dimostrarvi che l’interazione corpo/cervello nei bambini con autismo è profondamente atipica.