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Io, NOI, ontogenesi della relazione umana (tipica ed atipica). Giorno 28

Il nuovo (il giovane) “ha bisogno” del vecchio (del nonno).

Ieri abbiamo visto che la F.R. è un complesso di elementi neuronali che occupano tutto il tronco encefalico, dal bulbo al mesencefalo, tra loro connessi in modo da tracciare una struttura di tipo reticolare. Inoltre, abbiamo visto che la F.R. è connessa ad ogni area del S.N.C..

La particolare forma dei suoi neuroni consente, ai nuclei della F.R., di intercettare tutti i sistemi ascendenti e discendenti che transitano lungo il tronco encefalico, mentre la bipolarità degli assoni di queste cellule nervose consente loro di proiettare le informazioni in maniera diffusa a tutto il S.N.C., compresa la corteccia cerebrale.

Da anni, conosciamo che grazie a queste caratteristiche la F.R. assume notevole importanza nella regolazione del ciclo sonno-veglia, nell’allerta, nell’attenzione.

Ci appare evidente che, per comprendere, dobbiamo familiarizzare di più con la F.R..

La F.R. viene definita secondo un criterio macro-strutturale (anatomico) oppure secondo un criterio citologico (dimensione dei neuroni). Talvolta, viene definita anche secondo un criterio funzionale.

Da un punto di vista macro-strutturale, la F.R. viene definita come la parte centrale (ricordate sempre quella mia ipotesi sulle sedi anatomiche primariamente coinvolte nell’autismo?) del tronco encefalico, che appare sotto forma di neuroni diffusi contenuti all’interno di un reticolo di fibre ascendenti e discendenti o anche sovrapposti ad altre formazioni nucleari proprie del tronco encefalico ivi inclusi i nuclei motori e sensitivi dei nervi cranici nei quali si spingono i prolungamenti dei neuroni della F.R..

Da un punto di vista citologico, la F.R. è definita per la presenza di due popolazioni di neuroni: i neuroni magnocellulari, localizzati nei due terzi mediali, e i neuroni parvocellulari, che occupano il terzo laterale del tronco encefalico. Ad onor del vero, questa distinzione ha senso solo per la F.R. del bulbo e del ponte, mentre per il mesencefalo le due popolazioni di neuroni non sono distinguibili. Quello che, invece, vorrei sottolineare è che intorno alla linea di unione tra le due metà del tronco encefalico (rafe) troviamo neuroni magnocellulari raggruppati in nuclei (nuclei del rafe) che, utilizzando serotonina, svolgono quell’importantissima funzione di attivazione elettrica della corteccia cerebrale (le crisi epilettiche generalizzate si generano dall’attività anomala di questi nuclei che, a mio modesto avviso, non possono non svolgere un ruolo importante anche nella genesi dei sintomi da neurosviluppo atipico).

Dal punto di vista funzionale, i neuroni della F.R. hanno modalità operative che li differenziano dalla maggior parte degli altri neuroni del S.N.C. Infatti, questi neuroni possono essere inibiti o eccitati da impulsi nervosi convergenti provenienti da differenti parti del S.N.C. e, a loro volta, possono inviare impulsi nervosi (potenziali d’azione) in contemporanea (sincronizzazione) ad una moltitudine di aree cerebrali che differiscono, notevolmente, tra di loro per la funzione che svolgono.

Attraverso numerosissimi studi elettrofisiologici si è visto che stimolando con un microelettrodo una porzione della F.R., si registravano contemporaneamente gli effetti in regioni del S.N.C. funzionalmente differenti ed anatomicamente distanti tra di loro. E’ da questi studi che ha preso luce la teoria dei “campi associati” che ha definitivamente seppellito il localizzazionismo.

Dunque, comprendiamo che i neuroni della F.R. sono capaci di modulare contemporaneamente il livello di attività di strutture differenti del S.N.C., per mezzo di proiezioni diffuse verso il talamo e verso la corteccia cerebrale.

Per anni, il nostro approccio localizzazionista allo studio del cervello ci ha fatto commettere un grosso errore: “prestare poca attenzione verso questa parte del nostro S.N.C. (la F.R.) in quanto, non possedendo una funzione specifica, non le veniva attribuita importanza per la clinica (fatta eccezione, come ho scritto sopra, per le epilessie generalizzata).

Per un epilettologo, invece (come già scritto), questa è una zona del nostro S.N.C. cruciale per la comprensione della clinica, al punto che, ogni epilettologo ha ben chiaro il concetto che la corteccia cerebrale non possiede indipendenza funzionale, ma per riuscire a svolgere tutte le attività che caratterizzano lo stato di veglia cosciente (il nostro comportamento istante per istante) ha bisogno di un “supporto” proveniente dalle regioni sottocorticali. Se questo supporto viene a mancare, l’attività della corteccia cerebrale decade, cioè non è più capace di sostenere uno stato adeguato di attività compatibile con le varie attività tipiche della “mente umana” (i nipoti hanno bisogno dei nonni).

Sono stati questi principi biologici a farmi prendere le distanze dal consigliare una terapia cognitivo-comportamentale ad un bambino di 3 o 5 anni con un disturbo dello spettro autistico.

E’ stata la mia pregressa formazione accademica ad indicarmi la strada che dovevo seguire.

Di certo non un incontro con una persona (Carl H. Delacato), per quanto quella persona sia diventata un pezzo di me.

Non riesco proprio ad immaginare chi possa pensare che la scienza sia uno strumento per difendere le proprie idee o i propri sentimenti.

Comunque, dobbiamo percorrere ancora un po di strada, e lo facciamo con una nostra interessantissima compagna di viaggio “la biologia evolutiva”.

Il supporto che la F.R. e le altre strutture sottocorticali (es. più evidente il talamo) danno alla corteccia cerebrale è il risultato di un processo evolutivo.

Nel corso della filogenesi, così come nel corso dell’ontogenesi umana (neurosviluppo), quando la corteccia cerebrale (ovvero la parte evolutivamente più giovane del nostro S.N.C.) non si è ancora organizzata (i nipotini non sono ancora adulti), le connessioni ascendenti e discendenti, che connettono il corpo prima ed il mondo sensoriale immediatamente dopo alle nostre cortecce cerebrali, saranno integrate prevalentemente dalle strutture sottocorticali (specie F.R., cioè i nonni). Successivamente, nel corso del neurosviluppo, i circuiti superiori, grazie alle loro proiezioni a feedback (strato VI) andranno ad esercitare un controllo sul lavoro svolto dai centri sottocorticali, garantendo, in tal modo, all’organismo di esercitare con il proprio corpo un controllo sull’ambiente sensoriale, grazie ad una maggiore specificità nelle connessioni ascendenti e discendenti della corteccia cerebrale. Questa maggiore specificità (neurostato), tra le varie abilità o psicostati, ci garantirà anche di essere cooperativi e sociali, oltre che consapevoli di essere cognitivi (sempre psicostati).

Allo stesso tempo, deve essere chiaro (sarebbe un errore gravissimo ometterlo) che queste connessioni filogeneticamente molto evolute ed ontogeneticamente molto organizzate non potranno mai sostituire (in questo punto dell’evoluzione, dunque per la nostra specie) il ruolo primordiale della F.R. come regolatore dello stato di attivazione generica della corteccia, senza mai dimenticare che, anche nella nostra vita quotidiana di uomini adulti, le connessioni reticolari mantengono il ruolo egemonico nella regolazione della nostra vita vegetativa, senza la quale non può esserci relazione.

Prima di provare a vedere come questo lungo viaggio nel nostro S.N.C. (anche in quei luoghi meno sponsorizzati dei lobi frontali, ma non per questo meno importanti per la nostra vita, sia vegetativa che di relazione) possa aiutarci a definire meglio (almeno in chiave scientifica) una relazione atipica in età evolutiva, dobbiamo spendere ancora qualche risorsa sull’organizzazione della F.R..

A domani.

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