Uncategorized

IO, NOI, ontogenesi della relazione umana (tipica ed atipica) 1° giorno del nuovo inizio

1° giorno del nuovo mondo

Ci siamo lasciati nell’attesa della Pasqua con una stupenda poesia di Simone Cristicchi, che voleva essere un piccolo aiuto, un messaggio, una speranza per tutti NOI, ove viene immaginato l’atteso momento in cui l’ISOLAMENTO (argomento che sto cercando di trattare in termini biologici) finirà. Con esso finirà anche la preoccupazione, la paura, il dolore. Nell’attesa Cristicchi fantastica sul mondo che ci attende, ha sognato un “nuovo inizio di un nuovo mondo”.

Non ci sono dubbi.

La Pasqua è la richiesta di una disponibilità a lasciarci cambiare, a diventare “un uomo nuovo”, senza nostalgia dell’uomo vecchio.

C’è necessità di aprirsi alle novità della vita.

Per questo, pur essendo lo scritto odierno la continuazione dei precedenti, l’ho voluto  “indicare” in modo diverso (1° giorno del nuovo mondo).

 

Ad oggi nessuno conosce la causa dell’autismo, pertanto, nessuno può proporre una “cura” per l’autismo.

Presumibilmente, con il passare del tempo conosceremo che più cause possono generare l’autismo (autismi) e, pertanto, terapie differenti verranno proposte per questi bambini.

Nel frattempo, come ho scritto, dobbiamo prendere atto di una grave mancanza, storicamente impegnati in un acceso ma sterile dibattito tra le ipotesi innate e quelle della tabula rasa, non abbiamo riconosciuto appieno l’importanza del ruolo dei processi di sviluppo (ontogenetici).

Nel frattempo, tantissimi bambini e le loro famiglie, in attesa di un cambio di paradigma, ci “chiedono aiuto”.

Che cosa devono fare, loro ed i loro bambini, per sottrarsi al “dopo di noi”?

Ho scritto che non ho “verità”.

Da neurofisiopatologo ho voluto (e voglio) dare il mio contributo al raggiungimento della conoscenza che, normalmente, passa attraverso tante piccole ed, apparentemente, insignificanti conquiste.

L’ho dato con le mie armi a disposizione, l’applicazione dell’anatomia e della fisiologia del S.N.C. alle condizioni cliniche secondarie a neurosviluppo atipico.

L’ho dato con la gioia, specie se dovessi essere contraddetto con la stesse armi (farebbe fare un balzo in avanti alle conoscenze), con il dolore, se la critica dovesse nascere dal pregiudizio (il dottor Parisi non è un accademico perchè scrive queste cose oppure la metodologia Delacato è superata), perchè non farebbe torto alle mie idee ma alla conoscenza.

Ispirato dalla biologia evolutiva giusto un mese fa ho iniziato, insieme alle lettrici e lettori del blog “autismo fuori dagli schemi”, un percorso di studio proiettato verso una migliore conoscenza di cosa ci abbia resi “esseri sociali”.

Nello stesso tempo, ho pensato di utilizzare queste conoscenze al fine di provare a comprendere cosa ci fosse alla base di coloro che, fin dalle prime fasi della loro vita (tra il primo ed il secondo anno), non riescono a stabilire relazioni in modo “tipico”.

Non nascondo che ho preso spunto dal particolare momento storico che stiamo vivendo: ognuno chiuso nella propria abitazione per la paura di “incontrare un virus”.

La risposta al primo quesito, cosa c’è alla base del nostro diventare ed essere uomini, è quasi banale: la nostra storia.

Questo significa che, se nel corso dell’evoluzione la filogenesi avesse avuto un’altra storia, se nel corso dell’ontogenesi o sviluppo si fosse verificata un’altra storia, se l’educazione prima e l’istruzione poi fossero state differenti, se lo sviluppo tecnologico non ci avesse riguardato, se anche uno di questi “se” si fosse verificato, ognuno di noi sarebbe stato diverso da come è.

Capite che viviamo in un’era (2020) ove anche l’aspetto più umano: la “cultura”, non può essere avulsa dal contesto biologico ed evolutivo?

Nessuno può più negare che il nostro modo di essere umani cominciò a vedere la luce quando alcuni primati che ci hanno preceduto iniziarono a cooperare.

Allo stesso tempo, con piacere dalla nostra prospettiva, abbiamo preso atto che la cooperazione umana è differente da qualunque altra cooperazione presente in natura  perchè la filogenesi e l’ontogenesi ci hanno fatto dono di un cervello estremamente complesso, come nessun altro primato possiede.

Infatti, due individui che cooperano, pur svolgendo nello stesso tempo il proprio specifico ruolo, hanno lo stesso obiettivo.

La psicologia dello sviluppo ha definito questa nostra abilità (psicostato) con il termine di “attenzione congiunta”.

Con termini più romantici possiamo affermare che il segreto della nostra socialità è la capacità di “condividere e di restare individui” contemporaneamente.

E’ forse questo il motivo per cui l’autismo spaventa un genitore più di ogni altra condizione, ed attrae noi tecnici come nessun’altra patologia riuscirebbe a fare (per uno scherzo del destino sto scrivendo questa pagina il 2 aprile)?

La mia storia di biologo non ha mai fatto nascere in me alcun interesse verso queste questioni, ho sempre guardato all’autismo da un’altra “prospettiva”: qual è la migliore terapia di cui quel bambino ha bisogno nel momento in cui lo incontro?

Ma, per provare a fare una proposta terapeutica coerente devo, innanzitutto, definire quali neurostati, nei primi 24 mesi della nostra vita, ci preparano a “diventare uomini”.

La fatica non mi ha mai spaventato.

Questa volta avevo bisogno di una ulteriore mole di studi antropologici di riferimento (Michael Tomasello mi ha fornito, con i suoi libri, materiale preziosissimo, più di ogni altro autore) e di osservazioni cliniche (per questo sono e sarò sempre grato a migliaia di famiglie di bambini con autismo), il resto l’ha fatto l’anatomia e la fisiologia del S.N.C. che, per fortuna, non sono soggettive (per questo avete trovato pochissimi riferimenti bibliografici).

Abbiamo potuto vedere all’inizio di questa pubblicazione (fattore gravemente trascurato da molti), che il cervello umano si differenzia da quello dei babbuini e degli scimpanzè, oltre che per le maggiori dimensioni, soprattutto per il fattore tempo.

Per raggiungere un livello organizzativo tale da consentire l’inizio della ragione il cervello umano richiede uno sviluppo di circa otto anni.

Favorito da questo lunghissimo periodo di apprendimento, che ha il vantaggio di favorire un adattamento al modo di vita culturale dell’uomo, il cucciolo d’uomo passerà dalla fase di intenzionalità individuale a quella di intenzionalità congiunta, per poi dar vita, grazie anche alla pedagogia, all’intenzionalità collettiva.

In parole povere, abbiamo visto che, grazie alla complessità del nostro cervello arriviamo a cogliere la distinzione tra il soggettivo e l’oggettivo, ovvero, arriviamo a vedere entrambi quell’oggetto, pur consapevoli che TU lo vedi dalla tua prospettiva ed IO dalla mia.

Ci arriviamo perchè, nel corso del neurosviluppo, i nostri circuiti neuronali si organizzano in un modo così complesso da garantire che NOI due stiamo condividendo l’attenzione proprio sullo stesso oggetto, ma nello stesso tempo ciascuno di NOI ha una SUA prospettiva su di esso.

 

Lascia un commento

Commento
Nome*
Email*
Sito web*