Ciro è un bellissimo bambino di 9 anni che vive su una tra le dieci isole più belle al mondo. Per il suo lieve ritardo nello sviluppo del linguaggio e, soprattutto, per le difficoltà relazionali è stato diagnosticato autistico all’età di tre anni. Nonostante avesse iniziato da subito una terapia educativa (prescritta da specialisti del settore), il comportamento di Ciro progressivamente è peggiorato, specie per il sopraggiungere di una “incontinenza emotiva” (frequenti attacchi di riso oppure di pianto incontrollabili, con aggressioni fisiche alla mamma). Per questo motivo, i neuropsichiatri infantili hanno prescritto a Ciro dapprima una terapia educativa/comportamentale e, successivamente, acido valproico e risperidone. Nel frattempo, il comportamento di Ciro è peggiorato, mentre la mamma vive in uno stato di “paura”.
Proponendomi di chiarire “come nasce il riso normale” (il neurostato che genera la produzione del riso, oltre a farci comprendere il riso altrui, è complesso, e integra diverse regioni della corteccia con i nuclei grigi nascosti nella profondità del cervello ed il tronco cerebrale), voglio affrontare in questo articolo alcuni aspetti della “biologia della paura”.
Per Darwin, sia il riso o gioia (stiamo bene insieme, ci diamo fiducia) che la paura (ci permette di prevedere ed evitare il pericolo connesso a successive situazioni simili), come le altre emozioni di base, sono il prodotto della selezione naturale e ci accompagnano per tutta la nostra vita.
Per questa scuola di pensiero (biologia evolutiva), a cui il blog “autismo fuori dagli schemi” si ispira, osservando il comportamento degli animali si può comprendere sia l’utilità della paura (come della gioia) che la velocità con cui “contamina” l’altro.
E’ questo il motivo per il quale in tempi di Covid-19 alcune nostre decisioni sono state “condizionate”. Infatti, nei nostri supermercati andavano a ruba generi di prima necessità oppure, negli Stati Uniti, sono schizzate alle stelle le vendite di armi da fuoco.
Sappiamo bene che il nostro cervello è organizzato per rispondere automaticamente agli stimoli sensoriali provenienti dal nostro corpo e dall’ambiente. Appena i nostri sensi individuano un eventuale pericolo, ecco che istintivamente scattano le reazioni di SOPRAVVIVENZA: fuga, immobilità o risposta aggressiva (Ciro).
Un ruolo importante nell’organizzazione di queste risposte ADATTIVE viene svolto dal sistema limbico in generale e dall’amigdala in particolare che elaborano i segnali provenienti dal corpo e dall’ambiente ancor prima che le nostre cortecce cerebrali analizzino i dati (dunque, prima che prendiamo conoscenza di quanto sta avvenendo).
Si comprende facilmente che la paura (nel nostro caso) essendo un’emozione fondamentale svolge diverse funzioni. La principale di queste funzioni è di tipo adattivo, perchè l’organismo “sentendo paura” riesce a mettersi in salvo di fronte ai rischi. In chiave moderna (neurobiologia evolutiva), la paura viene identificata con l’azione motoria o comportamento che consente di tirarci in salvo (abbattimento di tutte le barriere tra sensazione, percezione, azione e cognizione).
E’ utile riflettere sul fatto che, esattamente come avviene negli altri animali, anche noi uomini siamo sensibili alla paura espressa dai propri simili (tutte le emozioni sono contagiose, per fortuna anche quelle piacevoli). Grazie alle neuroimmaging abbiamo potuto accertare che quando vediamo qualcuno provare paura la nostra amigdala viene “attivata”, non più dalle stimolazioni sensoriali corporee ed ambientali, dalla corteccia cingolata anteriore, ovvero da una rete di cellule nervose che è situata nella regione superiore della superficie mediale dei lobi frontali, sopra il corpo calloso e, come quest’ultimo, collega in parte i due emisferi cerebrali.
Possiamo affermare che, la PERCEZIONE di pericolo fa riferimento ad un sistema cerebrale arcaico, fuori dal controllo della ragione, anche quando, nel caso della mamma di Ciro, la paura è generata da un’attivazione dell’amigdala secondaria ad un’informazione proveniente dai circuiti delle memorie autobiografiche (importante il ruolo svolto dai circuiti frontali).
Il lettore attento intuisce che, di fronte ad un comportamento di “PAURA”, a prescindere da chi lo manifesta, è necessario che nessuno dubiti sulla funzione adattiva di questo comportamento (non deve mai essere etichettato come un comportamento problema). Allo stesso tempo, se il comportamento dovesse divenire “atipico”, dobbiamo indagare (ruolo del clinico) per accertare la genesi del comportamento dal punto di vista biologico (iperattività primaria del sistema limbico, iperattività del sistema sensoriale, iperattività della corteccia cingolata, iperattività dei circuiti meso-corticali). Infatti, il comportamento di Ciro potrebbe rientrare in un’atipicità generata ad iperattività dell’amigdala secondaria ad un’iperattività sensori-motoria (età di insorgenza primi sintomi, ritardo del linguaggio), mentre nel caso della mamma potrebbe trattarsi di un’iperattività dell’amigdala secondaria ad un’iperattività meso-corticale.
Un’altra considerazione degna di nota è quella che ci mostra come, in natura, dopo che si è scappato dal “predatore” si sente di aver superato il pericolo e si decide di fermarsi. Il picco di paura è passato, eppure il “sentirsi” sereno dura poco, è sufficiente un nuovo minimo rumore o il movimento di un cespuglio ed ecco che riparte la giostra della paura, senza la quale la tensione precedente non avrebbe avuto senso.
Anche quando, per un fatto culturale o educativo (circuiti frontali), non vogliamo ammettere che la vita non può non svolgersi che in situazioni di incertezze, la biologia ci ricorda che il rischio zero non esiste, è solo un’invenzione dei nostri complessi sistemi nervosi e, pertanto, adattivo anch’esso.
Infatti, non riesco nemmeno ad immaginare come potrebbe essere la “ripresa” nella nostra vita, tra crisi economiche, attentati terroristici, incubi tecnologici, epidemie globali, indipendenza dei figli, senza l’illusione del rischio zero generata dai nostri cervelli per bilanciare “la paura”.