Già duemilacinquecento anni fa, al tempo di Ippocrate, alcuni disturbi del corpo (somatici) venivano associati a disturbi severi del comportamento e viceversa. Nei due secoli scorsi sono state numerose le circostanze in cui, in seguito a malattie provocate da batteri patogeni (febbre tifoide, sifilide, tubercolosi, febbre spagnola), si è osservato che le infezioni (malattie del corpo) potevano, talvolta, accompagnarsi a “disturbi mentali” simil-schizofrenici. Questa riflessione, apparentemente semplice, potrebbe acquisire particolare interesse qualora dovessimo confrontarla con un altro dato abbastanza recente: molti ricercatori sostengono che un’infezione, virale o batterica, contratta dalla madre durante la gravidanza o nella prima infanzia rappresenti un rischio accresciuto di sviluppare, in età adulta, disturbi del pensiero e della condotta sociale.
Tutti questi indizi, pertanto, hanno generato il sospetto, in una parte della comunità scientifica, che il sistema immunitario e la sua attivazione, in specifici momenti critici della vita, nella popolazione che presenta una predisposizione a questi fattori di rischio possa contribuire all’emergere della clinica neurologica (disturbo del pensiero e della socialità).
E’ per questo motivo che il blog “autismo fuori dagli schemi” ha scelto di argomentare di “schizofrenie” (la più nota condizione clinica caratterizzata da disturbo del pensiero e della socialità) e di sistema immunitario nell’articolo odierno.
La schizofrenia è una patologia del sistema nervoso molto complessa e, allo stesso tempo, eterogenea ove la natura e l’intensità dei sintomi possono variare notevolmente da un paziente a un altro. E’ per questo motivo che la comunità scientifica, allo stato attuale, preferisce parlare di scizofrenie. Didatticamente si descrivono tre categorie di sintomi osservabili: i sintomi positivi, i sintomi negativi e i sintomi cognitivi. Vengono etichettati come sintomi positivi la perdita del contatto con la realtà sotto forma di deliri e/o allucinazioni visive e uditive (raramente olfattive, gustative e tattili). Appartengono a questa catagoria anche i pensieri persecutori. Rientrano nella categoria dei sintomi negativi la perdita di interessi oltre che di motivazioni, l’apparente impoverimento affettivo oltre che il ritiro sociale e familiare.
Fu proprio quest’ultimo aspetto clinico a indurre lo psichiatra Eugen Bleuler a introdurre il termine autismo in medicina.
Infine, appartengono al gruppo dei sintomi cognitivi le difficoltà attentive, i disturbi mnesici e delle funzioni esecutive.
Negli ultimi decenni i ricercatori hanno investito notevoli risorse sia nel campo della terapia farmacologica delle schizofrenie, con la scoperta di nuove molecole appartenenti ai neurolettici atipici, sia nel campo della comprensione dei fattori biologici che sottostanno ai sintomi delle schizofrenie. Quest’ultimo impegno ha portato a stabilire che queste condizioni cliniche (schizofrenie) devono necessariamente avere una origine multifattoriale. La maggioranza degli esperti in questo settore sostengono che una predisposizione genetica sarebbe in grado di generare una predisposizione o vulnerabilità verso quei fattori di rischio ambientale senza i quali la malattia non potrebbe generarsi (lo stesso vale per le epilessie, ovviamente variano i markers predisponenti e quelli scatananti).
Quello che ha catturato il mio interesse scientifico, oltre che di clinico, è che tra i fattori di rischi ambientali gli esperti del settore indicano, nei primissimi posti, le complicazioni in utero o alla nascita (le schizofrenie esordiscono tra il sedicesimo ed il ventireesimo anno di vita), l’uso di cannabis indica nel corso dell’infanzia o prima adolescenza, un disordine nell’ambito del nostro sistema immunitario, oltre al fatto che la schizofrenia, oggi, viene categorizzata come un disordine del neurosviluppo.
Il sistema immunitario, come tutti sanno, grazie alla produzione di anticorpi rappresenta una “trincea” di difesa vitale contro gli agenti estranei che penetrano nel nostro corpo. I biologi, in un passato recente (G. Edelman), ci hanno fatto conoscere che il sistema nervoso e il sistema immunitario hanno molte somiglianze biologiche. Ad esempio, come nel corso della nostra vita, grazie alla selezione esperienziale, si selezionano i circuiti neuronali e con essi i nostri ricordi, così, ogni contatto con agenti esterni, passato o presente, seleziona specifici anticorpi che rappresentano la nostra memoria immunitaria. In altri termini, sistema nervoso e sistema immunitario “maturano” per “selezione ambientale”.
Da tempo abbiamo preso atto che, come tutti i sistemi biologici, anche il sistema immunitario può alterare il suo funzionamento. Talvolta, ad esempio, può attaccare alcune molecole del proprio corpo generando una disfunzione degli organi aggrediti (malattie auto-immuni).
Per molto tempo il cervello è stato considerato, grazie alla presenza della barriera emato-encefalica, una specie di fortezza impenetrabile e, pertanto, poco soggetto ad attacchi da parte del sistema immunitario. Allo stesso tempo si intuiva che questa protezione, in alcuni casi, doveva mostrarsi aggredibile e fragile consentendo lo sviluppo di attacchi autoimmuni al cervello (sclerosi multipla) e ai motoneuroni spinali (sclerosi laterale amiotrofica), mentre la “psiche”, si pensava, non poteva correre alcun rischio.
Le moderne neuroscienze hanno svelato molti misteri della nostra psiche. Innanzitutto, abbiamo appreso che la “psiche” è un processo regolato dall’interazione dell’ambiente con un organismo dotato di sistema nervoso complesso. Appare evidente che, essendo il funzionamento cerebrale l’attore principale nella genesi del “processo psichico”, anche le “malattie mentali” possono avere una genesi autoimmune.
Sorvolando (non è corretto in termini di comprensione scientifica) sul fatto che il 50% delle persone affette da schizofrenia sviluppano delle malattie auto-immuni (psoriasi, morbo di Crohn, artrite reumatoide, tiroidite, diabete), si è scoperto che un auto anticorpo diretto contro il recettore del glutammato (Anti-N-Methyl D-Aspartate Receptor o NMDAR) può generare un quadro clinico sovrapponibile a quello dei pazienti schizofrenici.
Non ci sono dubbi, stiamo alla vigilia di un grande giorno: molte “malattie mentali” richiederanno l’intervento dell’internista.
Inoltre, potrebbe essere anche la vigilia di un’altra “rivoluzione scientifica” o cambio di paradigma.
A metà del secolo scorso, per qualche decennio, molti bambini con autismo ricevevano la diagnosi di “psicosi precoce” o di “schizofrenia infantile”. E’ un altro esempio di quanto gli specialisti del settore hanno “storicamente”contribuito a rendere ancora più drammatica la vita dei pazienti con autismo e delle loro famiglie. Infatti, queste etichette diagnostiche venivano utilizzate esclusivamente per sottolineare la somiglianza clinica (chiusura sociale) e la prognosi infausta, che avrebbe richiesto la “chiusura in istituto”, sia per i pazienti con schizofrenia che per gli autistici. Oggi, che la ricerca scientifica ci ha fatto progredire moltissimo nel campo delle schizofrenie (un esempio è dato dagli studi riportati in questo articolo), potrebbe essere vantaggioso anche per l’autismo iniziare ad indagare sul sistema immunitario di questi bambini.
D’altronde, la mente per generarsi e per svilupparsi non può prescindere dal corpo e dalla sua salute.