Nel 1995 Simon Baron-Cohen diventò molto famoso negli ambienti in cui si “discuteva” di autismo in quanto, in collaborazione con Uta Frith, aveva pubblicato la “Teoria della mente”.
Secondo questo modello teorico i bambini autistici erano tali perchè manifestavano una difficoltà nel comprendere la “credenza”, ovvero le intenzioni altrui.
La “Teoria della mente” si basava sul test della falsa credenza.
I neuropsicologi londinesi avevano sottoposto al test della falsa credenza bambini normotipici, bambini con sindrome di Down e bambini autistici, rilevando che solo questi ultimi, nella stragrande maggioranza, fallivano al test.
Il test consiste nel vedere che Sally mette una biglia in un posto, e che poi, mentre Sally è fuori, Anne sposta la biglia in un altro posto. Il bambino è invitato a riconoscere che Sally, visto che era assente quando la biglia è stata spostata, non saprà che è stata spostata e quindi deve ancora credere che si trovi nella sua collocazione originaria. Alla domanda del test: “Dove Sally cercherà la sua biglia?” solo pochissimi bambini autistici rispondevano come i bambini con trisomia 21 e come i bambini normali.
Per Baron-Cohen non c’erano dubbi: nell’autismo lo stato mentale della credenza viene compreso in bassissima misura. Pertanto, il soggetto con autismo è affetto da cecità mentale!
Peccato (per i soggetti con autismo ed i loro familiari) che tutti gli esseri umani falliscono nel test prima dei 4/5 anni di vita mentre i disturbi dello spettro autistici fanno il loro esordio clinico intorno ai 12 mesi di vita. Per questo ho sempre sostenuto che difficilmente un “deficit” primario della “mente”avrebbe potuto generare un quadro clinico definito “autismo”.
Negli ultimi anni la psicologia dello sviluppo ha abbandonato sempre di più le basi cognitiviste ricercando nella biologia evolutiva nuove radici.
E’ stato questo cambio di paradigma ad aver spostato le attenzioni dei ricercatori sul fatto che molti animali hanno delle capacità aventi una stretta corrispondenza con quella abilità che noi umani definiamo “autoconsapevolezza”.
A tal proposito voglio ricordare alle lettrici ed ai lettori del blog “autismo fuori dagli schemi” che un gruppo di ricercatori ha addestrato 32 cani a salire su un tappeto, afferarre un oggetto e portarlo a un essere umano in cambio di una ricompensa golosa. A volte, però, l’oggetto è fissato con una corda al tappeto, rendendo impossibile all’animale che ci è salito sopra riportare il giocattolo fino al ricercatore. In questo caso, l’80% dei cani dimostra di capire che il proprio corpo è di ostacolo all’esecuzione del compito e, infatti, scende dal materasso con l’oggetto in bocca e lo trascina verso il ricercatore per riscuotere il premio. Viceversa, quando il gioco è fissato a terra e non al tappeto (non è il suo corpo l’ostacolo), non scende dal materasso, essendo del tutto inutile.
Questo del materassino è diventato, in poco tempo, un test efficace per valutare la percezione del sè corporeo anche nei cuccioli d’uomo che, UDITE….UDITE, non lo superano prima dei 18-24 mesi di vita.
E’ per questo che la psicologia dello sviluppo, negli ultimi anni, ha stabilito che nei primi 24 mesi di vita il cucciolo d’uomo dovrà sviluppare tutti quei circuiti neuronali (neurosviluppo) che gli garantiranno lo sviluppo di conoscere il “proprio corpo” dapprima propriocettivamente e poi, intorno ai tre anni, allo specchio (visivamente). Solo successivamente, su queste solide basi biologiche, il cucciolo d’uomo costruirà la propria “mente”.
I bambini con disordine dello spettro autistico non hanno una patologia della mente ma un disordine dello sviluppo della conoscenza del proprio corpo.
Non è una questione ideologica. E’ una faccenda che riguarda la terapia.
Specie se giovanissimi, hanno bisogno di chi si “prende cura della loro propriocezione” e non dei loro comportamenti.
BUONA PASQUA A TUTTI.